Mi sono imbattuto spesso in persone molestate e maltrattate soprattutto in ambito famigliare. Ho dovuto ascoltare racconti raccapriccianti infarciti di vessazioni di ogni tipo e fronte di sopportazioni a dir poco stoiche e la domanda che mi è sempre sorta intimamente spontanea è stata ogni volta la stessa: "Ma perchè questa persona non ha mai denunciato ?!". Mi sono sempre astenuto dal rappresentare all'interlocutore, o interlocutrice, questo mio dubbio per non pesare su uno stato d'animo già provato ma ho cercato di comprendere e le risposte vanno sostanzialmente verso due scenari: il primo, è quello di una falsa speranza di reprimenda frustrazione per la mancanza di obiettivi personali che possano riempire l'orizzonte del futuro; il secondo, fondamentalmente per timore e paura di non essere sostenuti da un sistema Stato che possa proteggerli e (cosa ancora più importante) sostenerli.
Non è semplice per la vittima denunciare se non riesce a cogliere l'idea di un sostegno reale e non solo formale. Dopo la denuncia spesso sa che deve rientrare a casa dal proprio carnefice, ed anche quando sono posti in essere protocolli di assistenza questi spesso sono temporalmente limitati e poco strutturati.
Dal punto di vista normativo molto si è fatto negli anni, ma non abbastanza. Ci si indigna verso le morti di vittime di uomini violenti (ndr. Le vittime di omicidio da parte delle donne sono decisamente la minoranza), ma poi tutto viene dimenticato in fretta con processi che vedono sempre più spesso richieste di perizie per incapacità come inevitabile approccio difensivo. Spesso, però, non trovano conferme le menti omicide e si ha conferma di una lucida pazzia.
La mancanza di una concreta emancipazione dal marito o dal compagno induce alla sopportazione fino all'estrema conseguenza inducendo e cristallizzando una consapevolezza nell' "altro" di avere le redini della vita altrui. Denunciare, e poi ? Chi mi sosterrà già dal giorno dopo ? Mi offriranno un luogo segreto. E poi che vita farò con i miei figli ?
Il paradosso che non comprende la vittima è di essere vittima due volte. Una prima volta per le aggressioni, una seconda volta per essere costretta a rinunciare alla propria esistenza libera. La vittima sa che spesso sarà da sola a combattere sguarnita di validi strumenti e che nelle more di un sistema non sempre presente dovrà tutelarsi da sola e proteggere i propri figli.
A volte mancano vere e proprie prese incarico istituzionali. Il Codice Rosso ha stentato a partire ed ancora oggi ha evidenti falle perchè oltre alla denuncia manca l'apparato di tutela sostanziale e quotidiano che non può essere delegato ed iniziative associazionistiche private.
Il mio studio da anni pone in essere protocolli di difesa creati quando ancora il reato di stalking non esisteva e frutto di un impegno all'interno della associazione I - Care Italia, che ho nel tempo perfezionato. Ma sono protocolli ed attività costosi perchè il lavoro è complesso e costante e coinvolge un team di professionisti ampio: l'avvocato, la criminologa, la psicologa, il responsabile della sicurezza personale, la family coach per gli aspetti di gestione emozionale del quotidiano dei minori.
Sono protocolli attivi 24 ore su 24 con ausilio di tecnologia all'avanguardia in grado di proteggere la vittima costantemente.
Insomma non basta aiutare la vittima a fare la querela, ma serve una presenza che va oltre l'aspetto formale. La vittima deve percepirlo e deve sentire che non è sola altrimenti non denuncia se non quando proprio è alla disperazione, ma ad una vittima disperata corrisponde un carnefice consapevole della propria forza costruita nel tempo e dove, allora, difficile è farla desistere.
Occorre una legge che responsabilizzi lo Stato ad assumersi il costo di un attività d'intelligence ben fatta e ben costruita sul presupposto che nessuna vita può essere sacrificata sull'altare di un bilancio dello Stato in cui spesso vediamo sperperati milioni di euro.
Occorre perseverare anche per una "cultura di prossimità" dove il vicino di casa non volti lo sguardo altrove rispetto ad urla o richieste di aiuto "silenziose" svolte in un contesto di terrore.
Ci vuole un maggior monitoraggio che oso definire, appunto, di "prossimità sociale" pur senza ingenerarsi nella vita altrui. Cosa intendo per prossimità sociale ? Semplice.
Curarsi dell'altro. Ritenersi responsabili l'uno del benessere dell'altro e non lasciare nessuno indietro. Ho dovuto ascoltare vittime che vivevano con forte dramma la solitudine di un quartiere, di un palazzo o addirittura l'indifferenza del vicino di casa sullo stesso pianerottolo.
Occorre un pò tutto: occorre esserci da tutti i punti di vista e da tutti le parti che rappresentano questa società, perchè aiutare significa esserci.
Avv. Prof. Gianni Casale
Le vittime di molestie non sempre denunciano, perchè ?
Mi sono imbattuto spesso in persone molestate e maltrattate soprattutto in ambito famigliare.
Ho dovuto ascoltare racconti raccapriccianti infarciti di vessazioni di ogni tipo e fronte di sopportazioni a dir poco stoiche e la domanda che mi è sempre sorta intimamente spontanea è stata ogni volta la stessa: "Ma perchè questa persona non ha mai denunciato ?!".
Mi sono sempre astenuto dal rappresentare all'interlocutore, o interlocutrice, questo mio dubbio per non pesare su uno stato d'animo già provato ma ho cercato di comprendere e le risposte vanno sostanzialmente verso due scenari: il primo, è quello di una falsa speranza di reprimenda frustrazione per la mancanza di obiettivi personali che possano riempire l'orizzonte del futuro; il secondo, fondamentalmente per timore e paura di non essere sostenuti da un sistema Stato che possa proteggerli e (cosa ancora più importante) sostenerli. Non è semplice per la vittima denunciare se non riesce a cogliere l'idea di un sostegno reale e non solo formale. Dopo la denuncia spesso sa che deve rientrare a casa dal proprio carnefice, ed anche quando sono posti in essere protocolli di assistenza questi spesso sono temporalmente limitati e poco strutturati. Dal punto di vista normativo molto si è fatto negli anni, ma non abbastanza. Ci si indigna verso le morti di vittime di uomini violenti (ndr. Le vittime di omicidio da parte delle donne sono decisamente la minoranza), ma poi tutto viene dimenticato in fretta con processi che vedono sempre più spesso richieste di perizie per incapacità come inevitabile approccio difensivo. Spesso, però, non trovano conferme le menti omicide e si ha conferma di una lucida pazzia. La mancanza di una concreta emancipazione dal marito o dal compagno induce alla sopportazione fino all'estrema conseguenza inducendo e cristallizzando una consapevolezza nell' "altro" di avere le redini della vita altrui. Denunciare, e poi ? Chi mi sosterrà già dal giorno dopo ? Mi offriranno un luogo segreto. E poi che vita farò con i miei figli ? Il paradosso che non comprende la vittima è di essere vittima due volte. Una prima volta per le aggressioni, una seconda volta per essere costretta a rinunciare alla propria esistenza libera. La vittima sa che spesso sarà da sola a combattere sguarnita di validi strumenti e che nelle more di un sistema non sempre presente dovrà tutelarsi da sola e proteggere i propri figli. A volte mancano vere e proprie prese incarico istituzionali. Il Codice Rosso ha stentato a partire ed ancora oggi ha evidenti falle perchè oltre alla denuncia manca l'apparato di tutela sostanziale e quotidiano che non può essere delegato ed iniziative associazionistiche private. Il mio studio da anni pone in essere protocolli di difesa creati quando ancora il reato di stalking non esisteva e frutto di un impegno all'interno della associazione I - Care Italia, che ho nel tempo perfezionato. Ma sono protocolli ed attività costosi perchè il lavoro è complesso e costante e coinvolge un team di professionisti ampio: l'avvocato, la criminologa, la psicologa, il responsabile della sicurezza personale, la family coach per gli aspetti di gestione emozionale del quotidiano dei minori. Sono protocolli attivi 24 ore su 24 con ausilio di tecnologia all'avanguardia in grado di proteggere la vittima costantemente. Insomma non basta aiutare la vittima a fare la querela, ma serve una presenza che va oltre l'aspetto formale. La vittima deve percepirlo e deve sentire che non è sola altrimenti non denuncia se non quando proprio è alla disperazione, ma ad una vittima disperata corrisponde un carnefice consapevole della propria forza costruita nel tempo e dove, allora, difficile è farla desistere. Occorre una legge che responsabilizzi lo Stato ad assumersi il costo di un attività d'intelligence ben fatta e ben costruita sul presupposto che nessuna vita può essere sacrificata sull'altare di un bilancio dello Stato in cui spesso vediamo sperperati milioni di euro. Occorre perseverare anche per una "cultura di prossimità" dove il vicino di casa non volti lo sguardo altrove rispetto ad urla o richieste di aiuto "silenziose" svolte in un contesto di terrore. Ci vuole un maggior monitoraggio che oso definire, appunto, di "prossimità sociale" pur senza ingenerarsi nella vita altrui. Cosa intendo per prossimità sociale ? Semplice. Curarsi dell'altro. Ritenersi responsabili l'uno del benessere dell'altro e non lasciare nessuno indietro. Ho dovuto ascoltare vittime che vivevano con forte dramma la solitudine di un quartiere, di un palazzo o addirittura l'indifferenza del vicino di casa sullo stesso pianerottolo. Occorre un pò tutto: occorre esserci da tutti i punti di vista e da tutti le parti che rappresentano questa società, perchè aiutare significa esserci. Avv. Prof. Gianni Casale
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